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mercoledì 20 aprile 2016

Recensione: LE RAGAZZE SONO PARTITE di Giacomo Mameli


Recensione: LE RAGAZZE SONO PARTITE di Giacomo Mameli


Le ragazze sono partite - copertina
Buongiorno a tutti, questa settimana non farò una recensione, o perlomeno, sarà molto di più!
Sarà anche una dichiarazione di stima, di ammirazione, di profondo affetto.  Perché  Giacomo Mameli non è per me solo un ottimo giornalista e un bravo scrittore. E’ anche un uomo che conosco e stimo da anni. Un uomo con cui condivido un amore grande: quello per il posto dove entrambi siamo nati e cresciuti, per quanto in un periodo diverso: Perdasdefogu, piccolo paesino sperduto in Ogliastra.





Pietrina, Clelia, Evelina, Maretta, Erminia, Bonaria, Silvana, Carrula, [...] sono solo alcuni dei nomi delle tante protagoniste del libro di Giacomo Mameli, ragazze che emigrano in particolar modo da Perdasdefogu, verso il continente, a Roma e Milano, a partire dal secondo dopoguerra, per fare "le seraccas" (le serve) presso alcune famiglie benestanti. Il testo è costruito in modo corale, è un intreccio di storie di donne nell'arco di più generazioni, che partono e raccontano la loro esperienza migratoria. Un testo polifonico in cui le diverse voci narranti ci fanno entrare in un mondo tutto femminile, fatto di donne giovani, spesso quasi bambine, forti, coraggiose.







Quando più di un mese fa Luana mi chiamò e mi disse: ”Simo, stasera c’è la presentazione del nuovo libro di Giacomo Mameli alla Libreria Mieleamaro di via Manno”  non ci pensai sù nemmeno un secondo prima di rispondere: “ok, stasera siamo lì!”
Così ci siamo ritrovate  (ovviamente non poteva mancare Erika, “foghesina” d.o.c.)  in una libreria dal sapore retrò, che ci ha immediatamente catapultate in un’atmosfera passata, profonda, capace quasi di simulare una sensazione da “Sindrome di Stendhal”.  Avete presente quell'affezione psicosomatica che porta in alcuni soggetti capogiri, allucinazioni sensazione di venir risucchiati all'interno di un’opera d’arte?
Ecco! Quella libreria ha sortito esattamente quell’effetto su di me: una specie di macchina del tempo.
Mi ha trascinata lontana. Fisicamente ero lì, certo, nel 2016. Ma mentalmente ero ormai proiettata in un passato che era esattamente l’ambientazione del libro di cui poi ho sentito raccontare.
Innanzitutto vi premetto che questo libro non è soltanto una storia: sono tante storie, unite tra loro da un vero e proprio intento sociologico di raccontare delle testimonianze di vita. Di una vita che noi non abbiamo conosciuto, diversa dalla nostra e che forse ormai possiamo solo immaginare ascoltando i racconti di chi è riuscita a raccontarlo.
Parliamo di donne, il mio argomento preferito.  Donne nate povere negli anni del dopoguerra in un paese, Perdasdefogu (ma troviamo storie anche di ragazze di altri paesini della Sardegna) che non aveva nulla da offrire. Così si partiva. Per fare le serve in “continente”, sognando un futuro migliore.

“- Beata te, che ti hanno presa serva a Roma. Quando Parti?
-domani mattina alle sei, scendo a Cagliari col postale. Di sera mi aspetta un lungo viaggio in treno fino a Olbia poi il mare, la prima volta del mare per me. Chissà se avrò paura del mare! Io non so nuotare…..…. –Quanto ti danno?-Molto. Da diventare ricca. Ventimila. Ventimila ogni mese, in contanti me li danno, tutti insieme, e poi mangiata e dormita nella stessa casa del Padrone.”

Partivano tutte. Chi restava non aveva alcuna speranza di cambiare la propria vita.
Ho percepito bene la loro disperazione e la loro speranza quando sono arrivata a leggere la storia di “Carrula”. Eh  già, perché io “zia Carrula” l’ho conosciuta (e non era davvero mia zia, ma in paesini cosi piccoli sono tutte zie e zii)  che era già signora quando io ero piccolina e mai avrei immaginato la storia della sua vita. Lei partì a otto anni e mezzo, età in cui una bambina (perché di bambina si parla) avrebbe avuto ancora bisogno dei propri genitori, ma all’epoca no. Si partiva comunque e la paura la si lasciava alle spalle, insieme alla famiglia .

“Carrula ha un’altra meta però. Ogni tanto incontrava un pastore e a tutti diceva:”stò andando serva dai Marongiu”. Uno che aveva passato i settant’anni le aveva chiesto:”ma a te chi ti guarda?”“Mi guardo io, mi guardo da me. Sono grande. I figli dei poveri diventano grandi prima dei figli dei ricchi. Il bisogno fa diventare donna anche una bambina.”

Tante storie. Tutte diverse e tutte uguali.
La scrittura scorre veloce. I dialoghi conservano quella  freschezza tipica delle persone anziane che per quanto non parlino un italiano perfetto, coi loro errori fanno capire ancora meglio i concetti.
Tante storie, ma soprattutto un documento sociologico importante su un argomento poco trattato in proporzione alla sua importanza.
No che non potevo proprio aspettarmi di meno da Giacomo Mameli. E lo ringrazio.  Carrula, Nilva, Maretta e tutte le altre, sino a questo libro erano figure della mia vita senza un passato. Ora hanno una storia: triste, difficile e differente dalla mia. Il miracolo della scrittura: me le ha rese finalmente umane.
Grazie Giacomo.


Parliamo dell'alta moda per eccellenza: il costume tradizionale verde bosco di Perdasdefogu ovviamente.... Lo volete vedere? Eccolo qua....




Grazie ancora una volta per avermi letta.....

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